La consacrazione ci richiama al fatto che il desiderio di rendere sacra, cioè consacrare, la propria vita è insito nell’uomo e nella donna: la nostra vita, solo umana, non ci basta.
Forse però il riflettere sulla consacrazione ci fa pensare a pochi prescelti che innalzano di qualche gradino la loro vita o a qualcuno che supera se stesso in un atto eroico di rinuncia e abnegazione.
Penso però che osservando come Dio si è mosso per entrare nella nostra storia e renderla sacra, ci possa aiutare a rintracciare una via “chiara” per capire anche quale deve essere il nostro percorso, cosa voglia dire per noi consacrarci.
Per rendere sacra la nostra umanità, Dio si è fatto uomo, ha immesso il divino nella precarietà della nostra esistenza umana, ha fatto suo il nostro modo di soffrire, di gioire, di sentire. Ha tenuto dentro di sé e ha “compatito” le nostre sofferenze, le nostre rabbie, la nostra delusione davanti alle sconfitte e ai limiti della nostra natura.
Mi sembra quindi che render sacra la nostra esistenza voglia dire rimanere a livello di Dio, rimanere al livello della nostra fragilità umana, del corpo e dello spirito, rimanere al livello della fragilità delle nostre relazioni che portano in sé il desiderio della pienezza ma continuamente si incrinano.
Ciò ch mi chiede Dio è di essere fino in fondo quello che sono, cioè creatura amata da Dio, amata proprio con tutti i suoi limiti, i suoi errori e le sue potenzialità.
È vero che la consacrazione è una consegna della nostra vita al Signore e ai fratelli, ma penso che sia una consegna perché la nostra vita ci venga riconsegnata nella sua verità: Dio ci riconsegna a noi stessi liberati, non attraverso uno sforzo nostro, ma attraverso un’alleanza. Consacrazione vuol dire lasciare emergere la nostra povertà perché è lì che Dio ha trovato il suo angolo più comodo.
Lì lui si trova a proprio agio e solo lì lo possiamo incontrare e lasciare che la nostra vita diventi sacra, storia di salvezza per noi e magari anche per altri.